I nuovi poveri: è un diritto avere una vita dignitosa?
A cura di Caterina Grillone – avv. criminologa // studiolegalegrillone@tiscali.it
Sono fin troppo note le condizioni di profonda crisi in cui tutt’ora versa la società italiana. L’incidenza della povertà assoluta si è mantenuta sostanzialmente stabile sui livelli stimati degli ultimi tre anni per le famiglie, mentre è cresciuta se misurata in termini di persone. Così anche la povertà relativa ha avuto lo stesso andamento: è diminuita per le famiglie e aumentata per le persone.
Le dinamiche della povertà relativa confermano molti dei peggioramenti osservati per la povertà assoluta. Ma che cosa è questa nuova povertà relativa? È una valutazione della disuguaglianza nella distribuzione della spesa per i consumi e individua le famiglie povere tra quelle che presentano una condizione di svantaggio rispetto alle altre. Le condizioni economiche sono peggiorate per tutti mentre non si sono modificate molto le posizioni relative: ciò ha incrementato il numero di coloro i quali si trovano al di sotto della soglia minima di sussistenza, appunto quella di povertà assoluta.
L’istituto di statistica nazionale inserisce in queste categorie le famiglie con due persone che spendono meno di 1.051,00 euro al mese. La peggiore crisi economica del secondo dopoguerra, inoltre, ha colpito soprattutto i più deboli. Oltre ad essere enormemente aumentati i poveri rappresentano anche la parte della società che ha visto le proprie condizioni deteriorarsi maggiormente. La distribuzione della povertà in Italia riflette il tradizionale divario tra Nord e Sud. Calabria, Sicilia, Basilicata e Molise hanno in proporzione più del doppio dei poveri rispetto alla media nazionale. La povertà aumenta per cause diverse e strettamente correlate. Durante la crisi la povertà assoluta, infatti, ha confermato il suo radicamento tra i segmenti della popolazione dove già prima era più presente, il Sud, per le famiglie con anziani, i nuclei con almeno 3 figli minori e quelli senza componenti occupati, ma è anche notevolmente cresciuta in altri, in passato ritenuti poco vulnerabili: al Centro-Nord, le giovani famiglie, i nuclei con 1 o 2 figli minori e quelli con componenti occupati. In altre parole, il recente boom non si è concentrato tra i gruppi già maggiormente colpiti ma, al contrario, ha allargato i confini dell’indigenza nella società italiana. La povertà, dunque, è oggi una realtà significativa anche in quei segmenti della società che, in precedenza, ne erano toccati solo marginalmente. L’esito complessivo, questo il punto fondamentale, è che quote numericamente consistenti di indigenti non sono più confinate in alcune parti della società italiana, ma le toccano tutte: la povertà è diventata “normale”.La povertà assoluta è sempre esistita ma quello che oggi preoccupa è la povertà relativa che è una conseguenza della crisi economico e finanziaria, delle politiche di austerità, della scarsa propensione del nostro Governo a considerare il sociale come una spesa necessaria sulla quale investire.
Per valutare l’operato dello Stato nei confronti della povertà è opportuno, innanzitutto, mettere a fuoco la realtà delle relative politiche, l’Italia è l’unico paese europeo, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale mirata a sostenere l’intera popolazione in povertà assoluta e relativa. Nel nostro paese se ne discute da 20 anni, sinora senza esito. L’attuale sistema di interventi pubblici risulta, allo stesso tempo, del tutto inadeguato per volume di risorse economiche dedicate, e frantumato in una miriade di prestazioni non coordinate, suddivise tra una varietà di categorie e con caratteristiche diverse.Un simile assetto non può che produrre problemi di equità tra la popolazione e generare sprechi. La distribuzione della spesa pubblica è decisamente sfavorevole ai poveri, sancendo l’esistenza di un vero e proprio “welfare al contrario”. Il paese, quindi, ha imboccato la recessione con un sistema di welfare contro la povertàdebole e durante la crisi, mentre l’indigenza metteva radici; questo non solo non migliorava, bensì si indeboliva ulteriormente. Oggi ci troviamo, dunque, di fronte a una povertà diffusa e a un welfare pubblico ancora del tutto inadeguato.
Lo Stato ha sinora introdotto alcuni interventi per supportare il reddito delle famiglie, rivolti prevalentemente a fasce più ampie della popolazione ma che, in varia misura, riguardano anche i nuclei in povertà: il bonus di 80 euro per i lavoratori dipendenti, il bonus bebè per famiglie con figli entro i tre anni, il bonus per le famiglie numerose e l’assegno di disoccupazione; La maggioranza delle risorse totali mirate a sostenere il reddito delle famiglie è destinata al bonus per i lavoratori dipendenti con un reddito imponibile compreso tra 8.145 e 26.000 euro; l’importo è 80 euro per i redditi compresi tra 8.145 e 24.000 euro, poi decresce progressivamentesino ad azzerarsi a 26.000. Il contributo tocca oltre un terzo delle famiglie italiane. Il bonus, di conseguenza, non riduce in misura significativa né la diffusione né l’incidenza della povertà. Gli altri interventi, invece, sono molto più concentrati verso i redditi bassi che ricevono, dunque, una percentuale superiore dellarelativa spesa ma il loro stanziamento complessivo è nettamente inferiore a quello del bonus per i lavoratori dipendenti. Il bonus bebè consiste in 80 euro mensili destinati ai nuclei con un figlio nato nel triennio 2015-2017 e un Isee familiare inferiore a25.000 euro; se l’Isee è al di sotto di 7.000 euro, l’importo raddoppia e diventa di 160 euro. In ogni caso, il contributo viene erogato sino al compimento del terzo anno di età del bambino. L’insieme degli interventi di sostegno al reddito sinora varati restituisce un quadro piuttosto chiaro. Sembra esserci una certa disattenzione nei confronti delle fasce più deboli della popolazione. La Costituzione all’art. 3 recita: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Pari dignità sociale