Cellule staminali: progetto di solidarietà in Kurdistan
Gli italiani sono quasi abituati a pensar male di loro stessi: spesso si avverte un senso di inferiorità rispetto agli altri paesi soprattutto nel campo medico e non meno in quello umanitario. Invece, per una volta, arriva una buona notizia. Non siamo solo un popolo che si indigna per gli immigrati, che non investe nella ricerca o che è costretto a fare i conti con i cervelli in fuga: siamo un popolo che sa rispondere, e rispondere bene, quando si tratta di aiutare e sa farsi valere su scala mondiale. Quando infatti, il Console italiano in Kurdistan Alessandra Di Pippo ha proposto un progetto di collaborazione tra l’ospedale locale (Hiwa Cancer Hospital- Sulaymaniyya), l’ICU (Istituto cooperazione universitaria) e Ignazio Majolino – ex primario del centro trapianti dell’Ospedale San Camillo di Roma e coordinatore del progetto- non è tardato ad arrivare un aiuto concreto.
In Kurdistan, fino a poco tempo prima la situazione era disastrosa: non esistevano infatti terapie con cellule staminali per pazienti affetti da mielomi, linfomi, leucemie, talassemie e soprattutto i malati potevano sperare di ricevere le cure adeguate soltanto negli ospedali dell’India, a patto che potessero pagare i 50 mila dollari necessari per l’intervento. L’obiettivo del progetto era quello di trovare personale qualificato (italiano e non ) in grado di insegnare e trasmettere le tecniche trapiantologiche al personale locale. Molti non hanno esitato nemmeno un momento a preparare le valigie e partire per questa regione del Medio Oriente.
Tra questi il capo tecnico di laboratorio del San Camillo di Roma, Marco Possenti, che si è attivato per condividere la sua esperienza e il suo sapere, felice soprattutto di lavorare in un’equipe internazionale validissima. Il progetto è stato diviso in due fasi: una teorica ed una pratica. Durante la prima, durata all’incirca 21 giorni, sono state tenute delle lezioni dedicate ad ogni fase del trapianto rivolto al personale medico, infermieri, biologi dell’ Hiwa. Nella seconda invece, il personale del Kurdistan è stato affiancato da medici internazionali. Grazie a questa collaborazione, e al Dott. Dosti N. Othman (manager dell’Hiwa) sono stati attivati due tipi di trapianti: il primo è quello autologo. Il GCSF (fattore di crescita) stimola la produzione di nuove cellule ematiche e aumenta la concentrazione delle cellule staminali (precursori di globuli bianchi, rossi e piastrine). Successivamente vengono raccolte le cellule staminali che si sono incrementate nel paziente e congelate in azoto liquido.
Nell’ultima fase viene distrutto nuovamente il sistema ematico del paziente e vengono inoculate per via endovenosa le cellule staminali decongelate che producono un nuovo sistema ematico esente da cellule tumorali. Il secondo tipo di trapianto, invece, prende il nome di trapianto allogenico: vero e proprio trapianto di cellule staminali del midollo compatibile. Grazie ad investimenti statali sono stati creati un centro di aferesi per prelevare le cellule staminali nella prima fase del processo e un laboratorio di manipolazione, dove vengono concentrate e preparate le sacche di cellule staminali per la criopreservazione.
Attualmente si sta attivando il reparto di degenza diviso in 2 zone: una zona sterile, dove il paziente deve essere trasferito nella fase in cui non ha difese immunitarie ed è soggetto a qualunque tipo di infezione, e una zona di degenza ove il paziente staziona prima del trapianto e subito prima della dimissione quando ormai si è normalizzato il sistema immunitario. I curdi, nonostante siano conosciuti per essere un popolo fiero, hanno apprezzato profondamente l’aiuto e la disponibilità di questa equipe. Nell’arco di qualche mese, culture completamente diverse si sono unite, mischiate, abbracciate per dar vita ad un progetto comune: nessuna frontiera, nessuna differenza, solo un’unica grande famiglia che lavora con passione e dedizione per cercare di salvare vite umane senza che i malati paghino le cure